Antonio di Padova, il santo delle piccole grandi cose
In occasione della festa di S. Antonio di Padova, sacerdote francescano e dottore della Chiesa, venerato presso il Convento di S. Francesco in Maiori e Patrono di Conca dei Marini, tra le figure di santità più popolari e trasversali di ogni tempo, pubblichiamo il suo profilo agiografico tratto da Vatican News. Buona lettura!
Antonio di Padova, il santo delle piccole grandi cose
di Maria Milvia Morciano
Un santo teologo e popolare
Sant’Antonio è un santo popolare, vicino alle persone che lo pregano per bisogni familiari e domestici, al punto da essere invocato anche per trovare oggetti smarriti, come ci insegna la preghiera del “Sequeri” o per trovare marito alle ragazze. Allo stesso tempo è un santo complesso, sapiente, dalla profonda teologia nel legame con san Francesco. Scrive Benedetto XVI: “Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo” che invita a contemplare “i misteri dell’umanità del Signore”. Sant’Antonio “parla della preghiera come di un rapporto di amore, che spinge l’uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l’anima (…) la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima, creando il silenzio nell’anima stessa. Secondo l’insegnamento di questo insigne Dottore francescano, la preghiera è articolata in quattro atteggiamenti”.
Il primo passo è “aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio”, poi “colloquiare affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; e poi – cosa molto naturale - presentargli i nostri bisogni; infine lodarlo e ringraziarlo. In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo” (Udienza generale del 10 febbraio 2010).
Un santo antico ma così moderno
S. Antonio da Padova sec. XVIII-XIX Convento S. Francesco - Maiori |
L’iconografia di Antonio e i suoi simboli
Le raffigurazioni di sant’Antonio commuovono, specie quando sono opere di artisti sconosciuti, alle volte perfino un po’ naïf. In ogni chiesa non può mancare la sua immagine di ragazzo giovane, dallo sguardo luminoso, con la tonsura e il saio scuro. In una mano il Libro e in braccio il Bambin Gesù e nell’altra un ramo di giglio.Il Lilium candidum o il giglio di sant’Antonio
Sua caratteristica immancabile è il giglio candido, tanto che il fiore è detto proprio “giglio di sant’Antonio”. Questo fiore dal profumo intenso, che fin dall’antichità è stato assimilato alla sontuosità della rosa e appare assai spesso nelle fonti antiche classiche come nella Bibbia, rappresenta la Vergine Maria nell’Annunciazione, dunque simbolo dell’Incarnazione di Cristo, fiorisce sul bastone di Giuseppe e contraddistingue molti altri santi come san Luigi o Caterina da Siena. È un fiore che simboleggia purezza e nobiltà d'animo. Chiunque si rechi presso la basilica di Padova avrà notato la grande quantità di bigliettini lasciati nelle ceste ai piedi dell’Arca. Raccontano storie e speranze, richieste di aiuto e preghiere. Sono bianchi, simili ai petali del giglio.
La santità del quotidiano
Nel Sermone della Domenica XV dopo Pentecoste, al paragrafo 12, Antonio confronta i gigli del campo ai fiori del deserto e del giardino: “Nel campo sono indicate due cose: la sodezza della santità e la perfezione della carità. Il campo è il mondo (cf. Mt 13,38): per il fiore, resistere nel campo è tanto difficile quanto meritorio. Fioriscono nel deserto gli eremiti, che si mettono al riparo dall’umana compagnia. Fioriscono nel giardino recintato i claustrali, che sono tutelati dalla vigilanza umana. Ma è molto più meritorio (eroico) che i penitenti riescano a fiorire nel campo, cioè nel mondo, dove tanto facilmente si distrugge la duplice grazia del fiore, vale a dire la bellezza della vita santa e il profumo della buona fama”. È la santità nascosta del quotidiano che si dona sempre, nel silenzio dei giorni che passano: “Nell’essere chiamati ‘gigli del campo’ - afferma Antonio - è indicata la perfezione della carità, in quanto i gigli sono alla portata di chiunque li voglia cogliere”.
Fonte: Vatican News