10 Marzo 1506: La Chiesa Madre di Maiori diventa Insigne Collegiata


di Crescenzo Paolo Di Martino

L’amico Donato Sarno nell’ultimo numero di «Vita Cristiana» ha
giustamente ricordato ai Lettori la ricorrenza dell’elevazione di S. Maria a
Mare a Insigne Collegiata, rilevando come la chiesa rappresenti il «simbolo
dell’identità religiosa e civile di Maiori» e sia un «monumento di fede,
di arte e di riscatto civile, da valorizzare e da trasmettere alle future
generazioni». Le celebrazioni ricordate nell’articolo nacquero in un
momento storico e in un contesto particolare e forse irripetibile. Allo scopo
di valorizzare un patrimonio trascurato, spronati dall’esperienza di grazia
vissuta durante il Grande Giubileo del 2000, si diede vita a un progetto
unitario di recupero dell’identità culturale. Dopo l’inaugurazione del Museo
d’Arte Sacra “D. Clemente Confalone”, si pensò di commemorare
degnamente tre importanti eventi della storia religiosa locale, «pietre miliari
nel cammino di fede» come ebbe a definirli D. Vincenzo Taiani: l’ottavo
centenario del ritrovamento della statua di S. Maria a Mare, il primo
centenario della costruzione del monumentale organo, da celebrarsi
entrambi nel 2004 e il quinto centenario della data tradizionale dell’elevazione a Insigne Collegiata. Per favorire lo svolgimento
di attività scientifiche e di ricerca in supporto a tali eventi, l’impegno profuso da D. Vincenzo e dai suoi collaboratori nel
realizzare una sala dedicata alla consultazione dei registri parrocchiali e dei documenti d’archivio ha costituito un elemento
di fondamentale importanza. In questo ambiente è nato il laboratorio per il riordino e l’inventariazione dell’archivio di S.
Maria a Mare, che si articola in due fondi: i documenti della cura parrocchiale (“Archivio parrocchiale”) e le carte di
prevosti e canonici (“Archivio capitolare”). Il lavoro di riordino si è protratto per diversi anni e nei prossimi mesi l’inventario
dell’archivio sarà edito a cura del Centro di Cultura e Storia Amalfitana. Lo studio delle carte e le ricerche svolte presso
l’Archivio Segreto Vaticano, l’Archivio Storico Diocesano presso la Curia arcivescovile di Amalfi, l’Archivio della Badia
di Cava de’ Tirreni, l’Archivio di Stato di Napoli e l’Archivio di Stato di Salerno, hanno contribuito a delineare in maniera
esaustiva la storia della chiesa, rivelando aspetti ignoti o inaspettati.
Una novità è l’esatta datazione della bolla con cui Giulio II eresse la Collegiata. Tradizionalmente la datazione accettata
e tramandata da Filippo Cerasuoli e da tutti gli storici della nostra chiesa è il 10 marzo 1505. Rileggendo con maggiore
attenzione il testo del documento è emersa la verità: non si era tenuto conto che la data è espressa secondo lo stile
dell’Incarnazione al modo fiorentino, in uso presso la Cancelleria Apostolica.


Questo sistema cronologico poneva il principio
del computo temporale ab Incarnatione Domini, utilizzando come capodanno il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, da
cui decorrevano i nove mesi della gravidanza della Vergine Maria fino al Natale: per i giorni dal 26 al 31 dicembre l’anno
ancora corrispondeva; dal 1 gennaio al 24 marzo, invece, si posticipava di una unità. Per fare un esempio, al 31 dicembre
1505 seguiva il primo gennaio 1505, anche se l’anno comune era il 1506. La situazione restava tale fino al 24 marzo: dal
25 marzo il 1506 era realmente 1506. Essendo la bolla datata «anno Incarnationis Dominicae millesimo quinquagesimo
quinto, sexto idus martii», la data esatta è da ricondurre al sesto giorno prima delle Idi di marzo (che secondo l’antico
calendario romano cadevano il giorno 15 del mese) dell’anno 1506: il 10 marzo 1506. A convalidare la data concorre
anche l’indicazione dell’anno di pontificato di papa Giulio II, «anno tertio», che iniziò il 1 novembre 1505 e terminò il 31
ottobre 1506. Per tale ragione nel 2005 non ricorreva il cinquecentesimo ma il quattrocentonovantanovesimo anniversario
della bolla. Il 10 marzo di quell’anno la solenne messa in suffragio delle anime dei prevosti, dei canonici e dei sacerdoti che
avevano servito durante i secoli la chiesa e il canto del Te Deum che inaugurava le celebrazioni per il quinto centenario della
bolla, furono presiedute da monsignor Nicola Milo, ventottesimo e (per il momento) ultimo prevosto. Nello stesso anno
monsignor Milo celebrò anche i sessant’anni di sacerdozio e il 17 agosto serenamente spirò: mi piace immaginare che
l’anticipato centenario da lui vissuto e celebrato sia stata la degna conclusione di un ciclo storico e un’onorevole gratificazione
concessa all’anziano monsignore dall’imponderabile disegno divino.

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