«Donna de’ Paradiso»: la lauda dell’umanità di Maria, donna del dolore
Donna de’ Paradiso di Jacopone da Todi: la lauda dell’umanità di Maria, donna del dolore
di Luigi Reale
William-Adolphe Bouguereau, Pietà, 1876, collezione privata. |
La devozione alla Madonna Addolorata
nacque, tuttavia, molto tempo prima dell’istituzione della memoria liturgica,
alla fine dell’XI secolo: il Liber de passione Christi et dolore et planctu
Matris eius, di autore ignoto (attribuito erroneamente a San
Bernardo), fu l’opera che aprì le porte all’intensa produzione letteraria della
laudi, molte delle quali scelsero come tema il pianto della Vergine per
la morte di Cristo, suo figlio.
La tradizione delle laudi si
sviluppa contemporaneamente alla diffusione dell’Ordine francescano: il Cantico
delle creature di San Francesco era già probabilmente cantato in coro, e
probabilmente fin dall’inizio del XIII secolo è attestata la pratica del canto
collettivo di laude in volgare.
Tuttavia, soltanto dopo la metà del
Duecento la consuetudine si diffonde in tutta Italia, parallelamente con la
diffusione delle confraternite laiche dei Disciplinati o Flagellanti,
così definiti perché praticavano l’autoflagellazione accompagnandola con canti
in volgare in lode di Dio, della Vergine Maria e dei santi.
Verso la fine del secolo si
diffondono i cosiddetti laudari, raccolte manoscritte riservate a quest’unico
tipo di composizione. L’autore rappresentativo di questo genere è il
francescano Jacopone da Todi, al quale si attribuiscono circa cento laudi
trascritte molte volte dalla fine del XIII secolo a tutto il Quattrocento.
Jacopone da Todi, Laude Roma, Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II, Vitt.Em.849, 1326-1375 |
La vicenda è presentata con coinvolgente teatralità, grazie all’adozione della forma dialogica, tanto da creare subito nell’animo del lettore l’idea dell’atmosfera movimentata di un momento di confusione, di smarrimento che sta per decadere nel tragico, nell’irrimediabile. L’arrivo di Maria Maddalena, la richiesta di conforto, la gestualità delle fasi della crocifissione espressa magistralmente dall’iconicità delle parole del nunzio sono soltanto la fase aurorale di un dolore che deve ancora manifestarsi nella sua pienezza. Le parole del Cristo si alternano brevemente con quelle di Maria, sua madre, sorretta dalle braccia di Giovanni alle quali è stata affidata. Giovanni è simbolo dell’umanità che riconosce in Maria sua madre, la donna che ha generato il Figlio di Dio sacrificatosi per la salvezza di tutto il genere umano. L’apice della drammaticità è la constatazione della morte del figlio e il ricordo improvviso della profezia di Simeone, quando salì al tempio con Giuseppe per presentare il bambino a Dio (Luca 2,35): «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». Il riferimento evangelico è determinante e indica la conoscenza puntuale delle Sacre Scritture da parte dell’autore. Attraverso la semplicità del linguaggio e la familiarità delle figure, Jacopone da Todi ci offre un’immagine di Maria umana, vicina al dolore e alla sofferenza di ogni madre che vede patire e morire il propio figlio: sebbene la particolarità della sua condizione, è quindi possibile proiettare la vicenda vissuta intimamente dalla Madonna nella dimensione universale dolore, superiore e allo stesso tempo comune ad ogni sua declinazione. Buona lettura!
Nunzio
«Donna de Paradiso,
lo tuo
figliolo è preso
Iesù Cristo
beato.
Accurre,
donna e vide
che la
gente l’allide;
credo che
lo s’occide,
tanto l’ho
flagellato»
Maria
«Como
essere porria,
che non
fece follia,
Cristo, la
spene mia,
om l’avesse
pigliato?».
Nunzio
«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì
ll’à venduto;
trenta
denar’ n’à auto,
fatto n’à
gran mercato».
Maria
«Soccurri,
Maddalena,
ionta m’è
adosso piena!
Cristo
figlio se mena,
como è
annunzïato».
Nunzio
«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo
figlio se sputa
e la gente
lo muta;
òlo dato a
Pilato».
Maria
«O Pilato,
non fare
el figlio
meo tormentare,
ch’eo te
pòzzo mustrare
como a
ttorto è accusato».
Popolo
«Crucifige,
crucifige!
Omo che se
fa rege,
secondo la
nostra lege
contradice
al senato».
Maria
«Prego che mm’entennate,
nel meo
dolor pensate!
Forsa mo vo
mutate
de que
avete pensato».35
Popolo
«Traiàn for li ladroni,
che sian
soi compagnuni;
de spine
s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».
Maria
«O figlio,
figlio, figlio,
figlio,
amoroso giglio!
Figlio, chi
dà consiglio
al cor me’
angustïato?
Figlio
occhi iocundi,
figlio, co’
non respundi?
Figlio,
perché t’ascundi
al petto o’
sì lattato?».
Nunzio
«Madonna, ecco la croce,
che la
gente l’aduce,
ove la vera
luce
déi essere
levato».
Maria
«O croce, e
que farai?
El figlio
meo torrai?
E que ci
aponerai,
che no n’à
en sé peccato?».
Nunzio
«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo
figliol se spoglia;
la gente
par che voglia
che sia
martirizzato».
Maria
«Se i
tollit’el vestire,
lassatelme
vedere,
com’en
crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».
Nunzio
«Donna, la man li è presa,
ennella
croc’è stesa;
con un
bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n
cci ò ficcato.
L’altra
mano se prende,
ennella
croce se stende
e lo dolor
s’accende,
ch’è plu
multiplicato.
Donna, li
pè se prènno
e
clavellanse al lenno;
onne
iontur’ aprenno,
tutto l’ò
sdenodato».75
Maria
«Et eo
comenzo el corrotto;
figlio, lo
meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo
dilicato?
Meglio
aviriano fatto
ch’el cor
m’avesser tratto,
ch’ennella
croce è tratto,
stace
descilïato!».
Cristo
«O mamma,
o’ n’èi venuta?
Mortal me
dà’ feruta,
cà ’l tuo
plagner me stuta
ché ’l veio
sì afferato».
Maria
«Figlio,
ch’eo m’aio anvito,
figlio,
pat’e mmarito!
Figlio, chi
tt’à firito?
Figlio, chi
tt’à spogliato?».
Cristo
«Mamma,
perché te lagni?
Voglio che
tu remagni,
che serve
mei compagni,
ch’êl mondo
aio aquistato».
Maria
«Figlio,
questo non dire!
Voglio teco
morire,
non me
voglio partire
fin che mo
’n m’esc’el fiato.
C’una aiàn
sepultura,
figlio de
mamma scura,
trovarse en
afrantura
mat’e
figlio affocato!».
Cristo
«Mamma col
core afflitto,
entro ’n le
man’ te metto
de Ioanni,
meo eletto;
sia to
figlio appellato.
Ioanni,
èsto mea mate:
tollila en
caritate,
àginne
pietate,
cà ’l core
sì à furato».
Maria
«Figlio,
l’alma t’è ’scita,
figlio de
la smarrita,
figlio de
la sparita,
figlio
attossecato!
Figlio
bianco e vermiglio,
figlio
senza simiglio,
figlio e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur
m’ài lassato!
Figlio
bianco e biondo,
figlio
volto iocondo,
figlio,
perché t’à el mondo,
figlio,
cusì sprezzato?
Figlio
dolc’e piacente,
figlio de
la dolente,
figlio àte
la gente
mala mente
trattato.
Ioanni,
figlio novello,
morto s’è
’l tuo fratello.
Ora sento
’l coltello
che fo
profitizzato.
Che moga
figlio e mate
d’una morte
afferrate,
trovarse
abraccecate
mat’e
figlio impiccato!».