«Donna de’ Paradiso»: la lauda dell’umanità di Maria, donna del dolore

Per la rubrica Poesia e fede, che oggi inauguriamo, proponiamo il commento del giovane poeta Luigi Reale alla Lauda "Donna de Paradiso" di Jacopone da Todi. Lo scritto funge da focus sul alcune tematiche dell'intensa opera medioevale che si riporta integralmente in basso insieme con il video della magistrale interpretazione di Irene Papas.

Donna de’ Paradiso di Jacopone da Todi: la lauda dell’umanità di Maria, donna del dolore

di Luigi Reale


William-Adolphe Bouguereau, Pietà,
1876, collezione privata.
Anticamente, la Chiesa faceva oggi memoria dei Sette Dolori di Maria: era il 18 agosto 1714 quando la Sacra Congregazione approvava una celebrazione dei Sette Dolori di Maria fissandola al venerdì precedente la Domenica delle Palme. Successivamente, il 18 settembre 1814 papa Pio VII spostò la festa liturgica alla terza domenica di settembre allargandola a tutta la Chiesa, con inserimento nel calendario romano.
Infine papa Pio X (1904-1914), fissò la data definitiva del 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), con memoria non più dei “Sette Dolori”, ma della “Beata Vergine Maria Addolorata”.

La devozione alla Madonna Addolorata nacque, tuttavia, molto tempo prima dell’istituzione della memoria liturgica, alla fine dell’XI secolo: il Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius, di autore ignoto (attribuito erroneamente a San Bernardo), fu l’opera che aprì le porte all’intensa produzione letteraria della laudi, molte delle quali scelsero come tema il pianto della Vergine per la morte di Cristo, suo figlio.

La tradizione delle laudi si sviluppa contemporaneamente alla diffusione dell’Ordine francescano: il Cantico delle creature di San Francesco era già probabilmente cantato in coro, e probabilmente fin dall’inizio del XIII secolo è attestata la pratica del canto collettivo di laude in volgare.

Tuttavia, soltanto dopo la metà del Duecento la consuetudine si diffonde in tutta Italia, parallelamente con la diffusione delle confraternite laiche dei Disciplinati o Flagellanti, così definiti perché praticavano l’autoflagellazione accompagnandola con canti in volgare in lode di Dio, della Vergine Maria e dei santi.

Verso la fine del secolo si diffondono i cosiddetti laudari, raccolte manoscritte riservate a quest’unico tipo di composizione. L’autore rappresentativo di questo genere è il francescano Jacopone da Todi, al quale si attribuiscono circa cento laudi trascritte molte volte dalla fine del XIII secolo a tutto il Quattrocento.

Jacopone da Todi, Laude 
Roma, Biblioteca nazionale centrale
Vittorio Emanuele II,
Vitt.Em.849, 1326-1375


Con Jacopone da Todi la lauda assume una forma metrica precisa, derivata da una rielaborazione della struttura della ballata. La lauda più nota di Jacopone da Todi, oltre allo Stabat Mater, Sequenza della Memoria dei Dolori di Maria, è Donna de Paradiso: si tratta di una ballata di settenari e rappresenta il primo esempio di lauda drammatica, strutturata sull’intreccio e sul contrasto di quattro voci diverse (quella del Nunzio, che annuncia la catturo di Cristo; quella di Maria, che manifesta il proprio dolore e la propria disperazione; quella del popolo, che chiede la crocifissione; quella di Cristo sulla croce). Per favorire un orientamento nel testo, sulle strofe è stato inserito il ruolo della voce corrispondente che è tuttavia non presente nel testo originale.

La vicenda è presentata con coinvolgente teatralità, grazie all’adozione della forma dialogica, tanto da creare subito nell’animo del lettore l’idea dell’atmosfera movimentata di un momento di confusione, di smarrimento che sta per decadere nel tragico, nell’irrimediabile. L’arrivo di Maria Maddalena, la richiesta di conforto, la gestualità delle fasi della crocifissione espressa magistralmente dall’iconicità delle parole del nunzio sono soltanto la fase aurorale di un dolore che deve ancora manifestarsi nella sua pienezza. Le parole del Cristo si alternano brevemente con quelle di Maria, sua madre, sorretta dalle braccia di Giovanni alle quali è stata affidata. Giovanni è simbolo dell’umanità che riconosce in Maria sua madre, la donna che ha generato il Figlio di Dio sacrificatosi per la salvezza di tutto il genere umano. L’apice della drammaticità è la constatazione della morte del figlio e il ricordo improvviso della profezia di Simeone, quando salì al tempio con Giuseppe per presentare il bambino a Dio (Luca 2,35): «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». Il riferimento evangelico è determinante e indica la conoscenza puntuale delle Sacre Scritture da parte dell’autore. Attraverso la semplicità del linguaggio e la familiarità delle figure, Jacopone da Todi ci offre un’immagine di Maria umana, vicina al dolore e alla sofferenza di ogni madre che vede patire e morire il propio figlio: sebbene la particolarità della sua condizione, è quindi possibile proiettare la vicenda vissuta intimamente dalla Madonna nella dimensione universale dolore, superiore e allo stesso tempo comune ad ogni sua declinazione. Buona lettura! 


Nunzio

«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato»

Maria
«Como essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».

Nunzio

«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».

Maria
«Soccurri, Maddalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».

Nunzio

«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».

Maria
«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».

Popolo
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».

Maria

«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».
35

Popolo

«Traiàn for li ladroni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,

ché rege ss’è clamato!».

Maria
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ sì lattato?».

Nunzio

«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».

Maria
«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».

Nunzio

«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».

Maria
«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».

Nunzio

«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’ aprenno,
tutto l’ò sdenodato».
75

Maria
«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,

figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».

Cristo
«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta
ché ’l veio sì afferato».

 

Maria
«Figlio, ch’eo m’aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».

Cristo
«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».

Maria
«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’el fiato.

C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».

Cristo
«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core sì à furato».

Maria
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,

figlio e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e piacente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».


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