13 Agosto 1769: il racconto dell'Incoronazione!
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13 Agosto 2019 - Rievocazione dell'Incoronazione della Venerata Statua di S. Maria a Mare al canto dell'Ave Maris Stella e al suono festoso delle Campane. Foto di Gabriele Abbate |
In occasione della Festa dell'Incoronazione dell'Antica e Miracolosa Statua di S. Maria a Mare riproponiamo un articolo a firma di Donato Sarno, storico maiorese e presidente dell'Ass. Culturale "La Feluca", pubblicato sul Vita Cristiana di Maiori N. 7 - 8, luglio - agosto 2019, Anno LXXII in occasione dell'Anno Straordinario indetto nel 250° anniversario di tale avvenimento. Riviviamo, attraverso il loro racconto, gli avvenimenti dei quali furono fautori i nostri padri, segni evidenti dell'amore devoto e filiale verso la Vergine Maria.
13 Agosto 1919. La solennissima festa dell'Incoronazione di Santa Maria a Mare
[…] i Maioresi, quando il 14 agosto 1768 ricevettero da Roma le due corone d’oro concesse dal Capitolo Vaticano per l’antica statua lignea di Santa Maria a Mare, avevano stabilito di rinviare la cerimonia dell’incoronazione all’anno seguente, cioè al 1769, onde avere il tempo e la possibilità di organizzare grandiosi e memorabili festeggiamenti, che fossero all’altezza del sì grande privilegio ottenuto. Fu scelto dunque, come giorno dell’incoronazione, il 13 agosto 1769, in quanto allora domenica nonché in quanto antivigilia della festa patronale dell’Assunta. Nel tardo pomeriggio di sabato 12 agosto 1769 giunse a Maiori su di una barca appositamente imbandierata, “ricevuto con gran sparo” dal popolo festante, l’Arcivescovo di Amalfi Monsignor Antonio Puoti, accompagnato dalle autorità civili e religiose, che erano andate a prelevarlo, in quanto egli “in qualità di delegato dell’Illustrissimo e Reverendissimo Capitolo della detta Vaticana Basilica dovea fare l’incoronazione”.
L’incoronazione
ebbe luogo in Collegiata la mattina del 13 agosto 1769 e fu così solenne,
partecipata e commovente che è difficile descriverla. La chiesa era stata “apparata
tutta nobilmente da Maestri apparatori napolitani di un modo particolare mai
veduto in queste parti” e sempre da Napoli era venuta “una musica scelta
al numero di trentadue musici in due cori”. Nella chiesa, gremitissima di
persone, erano presenti il Regio Governatore di Maiori, barone Antonino
Antonini, gli Eletti Francesco Vicedomini e Giacomo Crisconio (paragonabili
agli odierni Assessori, essendo in quel momento vacante la carica di Sindaco),
la nobiltà maiorese e dei vicini paesi e “una infinità di popolo concorso da
diverse parti a vedere detta gran funzione”, uomini, donne, bambini,
ragazzi, anziani, di ogni condizione sociale, sia cittadini che forestieri.
Tantissimi erano anche i sacerdoti: il Prevosto Don Angelo Crisconio, le
Dignità, i Canonici e gli Ebdomadari della Collegiata, i parroci delle
frazioni, i frati dei vari Ordini religiosi allora presenti a Maiori e diversi
ecclesiastici non maioresi. Tutti, ben consapevoli di assistere ad un evento
importantissimo, erano accomunati ed affratellati dagli stessi sentimenti di
gioia e di devozione verso l’Augusta Patrona.
L’Arcivescovo
Puoti, assistito dal suo maestro di cerimonia, nella navata laterale, e
precisamente presso l’altare di Santa Rosa, sito dove oggi è posta la lapide
commemorativa del 1973, procedette alla consegna formale ed ufficiale delle due
corone d’oro tanto alla Città di Maiori, rappresentata dai due Eletti, quanto
al Capitolo della Collegiata, rappresentato dal Prevosto Don Angelo Crisconio,
dal Primicerio Don Leonardo d’Urso e dal Cantore Don Giuseppe Venosi. Subito
dopo l’Arcivescovo celebrò, con tutta la bellezza e la solennità della liturgia
del tempo, tra lo sfavillio delle candele, i canti e i fumi d’incenso, la Messa
Pontificale sull’altare maggiore (sito allora ove oggi è l’ingresso principale
della chiesa), assistito dai componenti del Capitolo della Collegiata,
rivestiti dei sacri paramenti (piviale, pianete o tunicelle a seconda del
ruolo); in mezzo al presbiterio, nel coro, erano state collocate quattro sedie
sopra un tappeto e lì sedevano il Regio Governatore, gli Eletti e il
Cancelliere del Comune, a cui fu tributato, come di prassi, l’onore
dell’incensazione e del bacio dell’osculatorium o tavoletta della pace.
Monsignor
Puoti era un sacerdote assai colto e pio, devotissimo della Madonna, non a caso
conoscitore e ammiratore di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, per cui all’omelia “da
sopra il trono cominciò un dotto e divoto sermone in lode dalle Vergine
Santissima e allusivo alla funzione che faceva, che durò un’ora”.
Terminata
quindi la Messa, l’Arcivescovo, pontificalmente vestito, stando all’impiedi,
benedisse, secondo la forma prescritta dal Rituale Romano e nel rispetto delle
istruzioni dettate dal Capitolo Vaticano, le due corone d’oro e le pose “coll’assistenza
di altri Ministri (…) così in testa della Beatissima Vergine, come in quella
del suo divinissimo Figliuolo”, al canto dell’Ave maris stella ed “a
suono delle campane e di un gran sparo di mortaletti”; incensò poi la
statua, recitò le ulteriori orazioni di rito, tra cui quelle di suffragio per
l’anima del conte Sforza e tre Pater ed Ave per il Capitolo Vaticano, e rese
pubbliche le indulgenze concesse per l’importantissimo evento. Alla fine della
funzione, alla presenza del notaio Giovan Domenico Venosi, che descrisse la
cerimonia in apposito atto, il Prevosto e il Capitolo della Collegiata,
dichiararono “d’aver ricevuto dette due corone d’oro con sommo giubilo,
applauso, umiltà ed infiniti ringraziamenti tanto al sudetto Illustrissimo e
Reverendissimo Capitolo Vaticano, quanto al detto Illustrissimo e
Reverendissimo Monsignor Arcivescovo” e si obbligarono con giuramento, sia
personalmente sia a nome dei futuri loro successori, di far restare da quel
momento in avanti e per sempre in ogni futuro tempo le due corone sulla testa
sia della Madonna che del Bambino Gesù, senza poter mai quelle non solo
vendere, ma anche soltanto togliere o far togliere per nessun motivo, fosse
anche giustificato.
La
cerimonia, che complessivamente dovette durare circa tre ore, si chiuse con il
canto di un solenne Te Deum “che trasse le lagrime dagl’occhi di
tutti”. La sera, dopo i solenni Vespri, fu recitato in Collegiata “un
dotto panegirico” da Don Antimo Costa, Decano della Cattedrale di Amalfi e
Segretario di Monsignor Puoti; si accesero quindi le spettacolari luminarie,
mentre le case di Maiori si presentavano artisticamente abbellite con addobbi a
forma di bastimenti (le cd. navarelle), per ricordare che da una nave era
venuto il simulacro della venerata Patrona. A chiusura della giornata “si
spararono molti fuochi artificiali che durarono per due ore”.
Il
giorno successivo, 14 agosto 1769, vigilia della festività dell’Assunta, “furono
cantati i primi vespri da detto Monsignor Arcivescovo”, a cui seguì un “gran
panegirico allusivo alla gran festa che si solennizzava”, tenuto dal
domenicano Padre Veronese de’ Padri Predicatori; la sera, tra lo splendore
delle luminarie, “in mezzo della publica piazza fu recitato un oratorio
sagro”.
La
mattina del 15 agosto 1769 si tenne la processione, presieduta da Monsignor
Puoti, il quale per l’occasione “fece venire d’Amalfi il Seminario al numero
di 30 figlioli”; alla processione presero parte, oltre al Capitolo della
Collegiata e al clero secolare e regolare di Maiori, i frati cappuccini di
Amalfi e “il signor Vicario Generale Don Romualdo Consiglio con rocchetta e
mantelletta e torcia nella mano”, seguito dagli Eletti del Comune di Maori
e dal Regio Governatore. Al termine della processione, “si cominciò la messa
cantata” che durò sino a mezzogiorno, il tutto “con grande sparo e
moltitudine di popolo”. Nel pomeriggio il Prevosto Don Angelo Crisconio,
assistito dal Capitolo, cantò i vespri e quindi fu tenuto un’altra orazione
panegirica alla presenza dell’Arcivescovo, che poi, verso l’imbrunire, lasciò
Maiori e tornò ad Amalfi. La sera in piazza si tenne un altro oratorio sacro “dalli
musici con gran concorso di Popoli, quale finito vi fu altro sparo, e così
terminarono le feste fatte tutte a gloria di Dio e di essa gran Madre Maria”,
come ricorda il Canonico Antonio Aurisicchio in una sua Memoria, il quale,
nell’evidenziare “l’ottima riuscita di questa gran festa”, volle
esprimere un ringraziamento speciale “al signor Don Gaetano Mezzacapo
Cavaliere, di tanto merito e d’ottimi e santi costumi dotato, che non ave
badato nè a spesa né ad impegni né a fatiga per farla riuscire sontuosa”.
Sicuramente
colpisce, dalla lettura dei documenti dell’epoca, la grandiosità dei
festeggiamenti esteriori, organizzati con il concorso di tutti, senza badare a
spese, in un’epoca che pur non conosceva l’odierno benessere. Tale grandiosità
si giustifica e si spiega in quanto essa era il frutto e la conseguenza di una
fede assai sentita e sincera e di una profondissima devozione verso Santa Maria
a Mare; erano questi i sentimenti che nel 1769 albergavano negli animi dei
Maioresi e che oggi, dopo 250 anni, in tempi purtroppo “di morta fede e di
empietà trionfante” – per usare le note parole del Beato Bartolo Longo.
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Immaginetta ricordo del 250° Anniversario dell'Incoronazione riproducente un'antica stampa di S. Maria a Mare del 1919. (fronte-retro) |