«Se questo è un uomo»: rileggere per fare memoria!


Settantasei anni fa, il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli di Auschwitz, rivelando così al mondo, per la prima volta, la realtà del genocidio in tutto il suo orrore. Quella data è stata scelta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la “Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime della Shoah”. Rileggiamo insieme una delle pagine più belle di quei giorni terribili, rinvigoriamo la memoria perchè non nulla di tutto questo vada dimenticato!

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi


    Questa poesia apre l’opera di Primo Levi, pubblicata nel 1947 e considerata una delle opere più importanti sulla Shoa. Il titolo della poesia è “Shemà”, che significa proprio “ascolta”. L’obiettivo dell’autore è raccontare gli orrori, le paure, le sfumature di chi ha subito la storia all’interno di Auschwitz. Una poesia scritta in 23 versi liberi, che elenca le condizioni disumane in cui riversavano le persone lì dentro. Gli ascoltatori siamo noi, noi che, come scrive Levi, ci troviamo nelle tiepidi case, torniamo a casa con gli amici e mangiamo piatti caldi.
   La prima immagine che descrive l’autore è perciò l’immagine di “normalità”, contrapposta, successivamente, ad un’altra immagine: la disumanità. La disumanità di chi lavora nel fango, non mangia, non conosce pace. La disumanità di chi muore per “un si o per un no”. Continua poi descrivendo le donne, private della loro dignità, della loro femminilità (senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno”).
     La testimonianza diventa preziosa, perciò, per farci riflettere, per farci meditare sulle oscurità del nostro passato, sulle violenze che gli stessi esseri umani hanno fatto ad altri. La testimonianza di Primo Levi diventa un modo per prendere in causa noi, oggi, i nostri posteri, con la speranza di non far accadere più determinati orrori. Questa è ciò che la memoria dovrebbe fare: insegnarci. Riflettiamo oggi più di ieri sull’importanza della vita, davanti ad una poesia ed un racconto di chi la vita l’ha vista strappata via.

Stella Grillo per Liberiamo




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