La Profezia della Carità e lo stile Sinodale [TESTO INTEGRALE]

Condividiamo con i lettori del Blog “Vita Cristiana di Maiori” l’intervento integrale di Mons. Beniamino Depalma, già nostro arcivescovo, nel corso di un incontro formativo in occasione del Sinodo. Buona lettura!

La Profezia della Carità e lo stile Sinodale*

La Chiesa è il volto umano della Trinità. La Chiesa è il luogo dove concretamente si fa l’esperienza dell’amore di Dio, della tenerezza di Dio e della misericordia di Dio.

Questa Chiesa ci fu consegnata 57 anni fa con il Concilio Vaticano II. Il 7 dicembre del 1965, papa Paolo VI così concludeva le assisi conciliari: «Abbiamo imparato ad amare. Abbiamo imparato la spiritualità del buon samaritano. Come Chiesa, abbiamo imparato ad incontrare, a scendere dal cavallo, a donare speranza, a curare tutti i feriti e gli ammalati della storia». Quel sogno di Chiesa fu presto fermato dagli avvenimenti storici che in questo momento non è il caso di ricordare. È venuto papa Francesco! Un vescovo venuto dall’oltreoceano, dall’Argentina, lontano dalla mentalità europea.

È venuto papa Francesco. Ha svegliato la Chiesa che, in un certo senso, si era addormentata. Questa Chiesa che il Papa ha definito ospedale da campo. Papa Francesco ci ha fatto una proposta, che è un momento di grazia per tutta la comunità ecclesiale. Il cammino sinodale della Chiesa italiana e delle altre chiese non è un’attività che dopo un anno presto di dimentica. Non è questione di attività. La grazia di questo percorso sinodale è la possibilità di imparare un nuovo stile di essere Chiesa. Viviamo un cambiamento di epoche. Viviamo un momento dopo la grande epidemia. Abbiamo bisogno di ripartire, non ripetendo il passato, ma imparando un nuovo modello di essere Chiesa. Dobbiamo imparare ad essere Chiesa in questo momento di stanchezza, in questo momento di pessimismo, in questo momento di pensiero liquido. Abbiamo bisogno di imparare un nuovo modo di essere Chiesa, di essere comunità parrocchiale, un nuovo modo di essere vescovi, di essere parroci, di essere laici credenti, un nuovo modo. Dobbiamo imparare nuovi linguaggi.

Era il 1915, quando Charles Péguy scriveva: “La Chiesa non appassiona più”. La Chiesa anche oggi non appassiona più: non appassiona i ragazzi, non appassiona, i giovani, non appassiona gli adulti, non appassiona le famiglie. Ma tutti abbiamo bisogno di ascoltare il Vangelo di sempre, perché il Vangelo non è una dottrina, il Vangelo non sono riti, il Vangelo non è un’etica. Il Vangelo è una possibilità per vivere una bella, buona e felice vita umana. Abbiamo bisogno di imparare un nuovo stile.

Un tempo di crisi

Miei cari amici, stiamo uscendo da una crisi. Viviamo ancora in tempo di crisi. La crisi la si abita. Da una crisi non si fugge. La crisi non si dimentica. Bisogna abitare questa crisi, perché la crisi è maestra di vita. La crisi ci dice che dobbiamo abbandonare tanti stili, tanti modi di vivere per ritornare all’essenziale. Abbiamo imparato ad amare. La Chiesa non è la comunità che si chiude nel cenacolo per paura dei giudei. La Chiesa è una comunità invasa dallo Spirito del Risorto, che ama le strade, tutte le strade! Che ama gli uomini, tutti gli uomini! Che non ha paura di contaminarsi, per portare vita e speranza a quanti sono disagiati, a quanti sono ai margini, a quanti sono stanchi nel cammino dell’esistenza. Abbiamo imparato ad amare.

La spiritualità del buon samaritano

Una Chiesa che sa amare. Abbiamo imparato la spiritualità del buon samaritano: una Chiesa che si ferma, che si ferma accanto agli uomini. Una Chiesa che non ama la burocrazia. Una Chiesa che non ama gli uffici parrocchiali. Una Chiesa che non ama i documenti scritti a tavolino. Dobbiamo imparare ad incontrare l’uomo, non l’uomo dei nostri cervelli, ma l’uomo così com’è. Diceva papa Paolo VI l’uomo fenomenico, l’uomo così come la realtà ce lo presenta.

Dobbiamo imparare ad incontrare l’uomo, perché ogni uomo è carne di Cristo, c’è una carne che è l’Eucaristia, c’è un’altra carne vera, è la carne dell’uomo, è la carne dei fragili, è la carne dei poveri. Aveva ragione san Giovanni Crisostomo: “Non si separi il Sacramento dell’altare dal Sacramento del fratello”. Dobbiamo imparare ad incontrare l’uomo. Incontrarlo perché è la carne di Cristo, perché è il volto di Dio. Vuoi incontrare Dio? Vedi il volto del fratello fatto ad immagine e somiglianza dell’Eterno. Dobbiamo imparare dal buon samaritano a non inseguire i nostri progetti, a non inseguire le nostre ansie, a non inseguire i nostri protagonismi. Dobbiamo imparare a mettere da parte tutte le nostre agende, tutti i nostri calendari, per fermarci, ascoltare, guardare, lasciarsi commuovere, lasciarsi compromettere dalle ferite che il Signore pone sui nostri passi. Siamo un ospedale da campo! Siamo tutti feriti! Incontriamo tutti uomini feriti. Feriti guariti che incontrano altri feriti per guarire a loro volta. Dobbiamo fermarci. Dobbiamo liberarci dall’ossessione delle attività. Dobbiamo recuperare il cuore, lo sguardo, l’orecchio. L’uomo che entra nella chiesa, l’uomo che entra nell’ufficio parrocchiale, l’uomo che entra nei gruppi Caritas, è l’uomo che ci viene mandato dalla Provvidenza. Guardate, quando la Provvidenza ci fa incontrare qualcuno, questo qualcuno scompiglia la nostra vita. Dobbiamo imparare a lasciarci scompigliare dalla presenza di Dio e Dio si presenta attraverso altri volti, altre presenze, altre grida, altri lamenti.

Il linguaggio della misericordia

Dobbiamo imparare, come Chiesa, a dare speranza. La Chiesa deve cambiare linguaggio. Non il linguaggio del giudizio, non il linguaggio dell’esclusione, non il linguaggio dell’emarginazione, ma il linguaggio della misericordia e il linguaggio della tenerezza. Specialmente dopo questa epidemia che tutti ci ha colpiti. La gente è stanca, terribilmente stanca. Non vuole ascoltare precetti, non vuole ascoltare comandamenti, non vuole ascoltare norme. Vuole incontrare un cuore che vede e un cuore che ama. Dare speranza. Non riusciremo a togliere tutte le forme di povertà. Non riusciremo a sfamare tutta la gente. Non riusciremo a dare un tetto a tutti i senzatetto nel mondo. Ma siamo chiamati a dare speranza a tutti, perché nessuno sia stanco della vita! Il problema più serio non è la mancanza di pane, ma è non avere più speranza, non avere più senso, essere stanchi del dono dell’esistenza. È una terribile tragedia quando si è stanchi di vivere.

La Chiesa accanto agli ultimi, accanto a chi non ce la fa più, per sostenerli tutti, nel cammino della vita. I poveri non sono soltanto quelli delle opere di misericordia corporale. I poveri sono coloro che hanno bisogno delle opere di misericordia spirituale, i poveri sono coloro che hanno bisogno delle opere di misericordia intellettuale. Dobbiamo insistere su tutte le povertà: le povertà del corpo, le povertà dello spirito, le povertà della testa, le povertà del cervello. La più grande povertà è quando non si pensa più, quando non ci si pone più domande, la più grande povertà è quando non si va più in cerca di un senso della vita.

Una Chiesa che ascolta

Il senso. Una Chiesa chiama l’uomo per dare il senso, perché Gesù è venuto per dare senso. Una chiesa che ama è una Chiesa che ascolta. L’ascolto non è lasciarsi toccare dai suoni delle parole. L’ascolto è permettere all’altro di entrare nella nostra vita, è permettere all’altro di scompigliare i nostri ragionamenti. L’ascolto è permettere all’altro di arricchirci. Ascoltare un altro significa diventare più ricchi, allargare gli orizzonti della vita, vedere tanti volti, che altrimenti non avremmo mai visto e mai incontrato. L’uomo è ascolto. Si nasce dall’ascolto di papà e di mamma. Si nasce dall’ascolto di Dio. L’ascolto è fondamentale per l’esistenza. Ascoltare l’altro significa far entrare l’ossigeno nella nostra vita, diventare più vivi. Ma per ascoltare bisogna essere disarmati. Disarmati significa non avere paura dell’altro, non avere pregiudizi, non avere sospetti. Accogliere l’altro come possibilità di vivere una vita più vera e una vita più ricca. La Chiesa deve ascoltarsi e ascoltare. Deve ascoltare Dio attraverso la Parola. Deve guardare il mondo con l’occhio di Dio e con la simpatia di Dio. La Parola di Dio non è un gesto devozionale, non è nemmeno un gesto per la salvezza dell’anima. La Parola di Dio è imparare a guardare la storia, la vita, con lo sguardo di Dio e con il cuore di Dio. Senza Parola non si impara ad incontrare Dio nel volto degli altri. La Chiesa deve ascoltarsi al suo interno.

Chiesa popolo di Dio: la rivoluzione del Concilio Vaticano II

Molto bello il capitolo secondo della Lumen Gentium: la Chiesa, popolo di Dio. Non voglio scandalizzare nessuno, ma nella Chiesa non esiste il più grande e il più piccolo, il più importante e il meno importante. Nella Chiesa siamo tutti importanti! È importante papa Francesco. È importante il vescovo Orazio. Sono importanti i preti. Sono importanti i laici. Sono importanti i giovani. Sono importanti gli anziani. Sono importanti i bambini. La Chiesa deve imparare ad ascoltare tutti. Nella Chiesa c’è uguaglianza di vita. Siamo tutti uomini. E la mia umanità non è inferiore o superiore alla vostra. Abbiamo l’uguaglianza del Battesimo, abbiamo l’uguaglianza della fede, abbiamo l’uguaglianza della missione, abbiamo l’uguaglianza del nostro destino. Ci differenzia soltanto la diversità del modo di vivere la sequela del Vangelo e il servizio al Vangelo. Nella Chiesa esiste la reciprocità: non esiste un vescovo senza presbiterio. Non esiste un vescovo senza laici. Non esiste un presbiterio senza vescovo, non esiste un presbiterio senza laici. Non esiste una Chiesa senza laicato. Non esiste una Chiesa senza giovani. Non esiste una Chiesa senza famiglie.

Laici Maestri di vita

Nella Chiesa siamo tutti discepoli, tutti discepoli dell’unico Maestro, il Signore Gesù. Dobbiamo imparare gli uni dagli altri. Molto bello un testo di von Balthasar: nella Chiesa ci sono i maestri della fede, ma nella Chiesa ci sono i maestri della vita. I laici sono i maestri della vita. I presbiteri, i vescovi sono i maestri della fede. Ma una fede senza vita è monca, come è pericolosa una vita senza fede. I pastori hanno bisogno di ascoltare i laici. Ne hanno bisogno per non fare una pastorale clericale, una pastorale di sacrestia. Ma i laici hanno bisogno dei pastori per dare un senso alla propria vita attraverso l’ascolto della Parola.

Nella Chiesa bisogna ascoltarsi scambievolmente, perché nessuno è tutto e nessuno può essere solo. Molto bello quello che diceva tanti anni fa, nel 1800, san Giovanni, un grande convertito al cristianesimo: una Chiesa senza laicato è una Chiesa sciocca ed è una Chiesa povera. Papa Francesco sta insistendo sul clericalismo che lui definisce la grande piaga della Chiesa, ed è vero, perché la Chiesa senza laici diventa più povera, diventa insignificante, diventa inutile. I Padri della Chiesa parlavano dei laici come le gambe del Vangelo. Se mancano i laici, il Vangelo non penetra nella società, il Vangelo non passa, il Vangelo non diventa fermento e lievito della società umana. Al numero 31 della Lumen Gentium, il Concilio già diceva che i laici, per la loro parte, sono maestri per la presenza nel mondo, nella storia e nel mondo sociale. I laici sono dottori, esistono i dottori della fede, ma anche i dottori della vita.

Chiesa in ascolto dello Spirito

Papa Francesco ci ha chiesto di ascoltarci, perché ognuno ha il suo dono! E il dono non ci viene dato da una norma o da un decreto. Il dono ci viene dato dallo Spirito Santo nel giorno del Battesimo, confermato nell’Eucaristia, riconfermato nel Sacramento della Confermazione. Siamo indietro di 57 anni. Tante volte abbiamo perduto il treno della storia, non perdiamolo anche questa volta. Siamo diventati insignificanti. Papa Benedetto diceva che ormai siamo una minoranza e, attenzione, aggiungeva: non diventiamo una minoranza insignificante, ma una minoranza creativa. Il Vangelo non ha bisogno della massa, non ha bisogno di numeri, non ha bisogno della quantità. Il Vangelo ha bisogno della qualità credente, della qualità cristiana. Non perdiamo il treno anche questa volta. Papa Francesco ci ha dato delle parole molto belle: no al formalismo, no all’intellettualismo, no all’immobilismo; sì all’incontro, sì all’ascolto, sì al discernimento.

Non avvenga, miei cari amici, di essere noi nostalgici del passato. Il modo di fare pastorale di ieri è completamente cambiato, lo vogliamo o non lo vogliamo. Il tempo di eri non torna e non tornerà. Non dobbiamo essere nostalgici, ma dobbiamo avere l’audacia evangelica. Aprire le porte, accompagnati dallo Spirito, per parlare i linguaggi nuovi che la gente può percepire, è di questi linguaggi che l’uomo ha realmente bisogno. È un linguaggio del quale l’uomo ha immensamente bisogno non è il linguaggio della burocrazia ecclesiastica, ma il linguaggio della simpatia umana. Questo mondo noi lo amiamo. Questa umanità noi l’amiamo. Questa società noi la amiamo e la amiamo immensamente e la amiamo con il cuore di Dio e con gli occhi di Dio. Non una Chiesa nostalgica, non una Chiesa che condanna, non una Chiesa che si lamenta. Una Chiesa che vive questo tempo, questo tempo di Pentecoste.

Una Chiesa in debito di ascolto

Miei cari, ascoltare. Ma ascoltare anche chi vive lontano dalla comunità, perché anche i cosiddetti lontani hanno un segreto da comunicarci e hanno una parola da donarci. Ascoltate anche i problematici, anche coloro che contestano. Ascoltate anche chi vive in situazioni di disagio, tutte le situazioni di disagio. Ascoltare tutti, perché da tutti ci può venire una Parola di Dio.

Nel 1957 il cardinale Montini celebrò una grande missione a Milano, scrisse una bellissima lettera ai cosiddetti “lontani”. In quella lettera meravigliosa diceva ai lontani: “vi siete allontanati perché non vi siete sentiti amati, perché non vi siete sentiti accolti. Avete preso altre strade perché ci davate fastidio. Noi vi chiediamo perdono”. Miei cari, se la Chiesa ascoltasse anche il grido dei lontani. Se la Chiesa non avesse problemi di fastidio ascoltando i lamenti, il giudizio negativo di tanti, oggi saremmo una Chiesa più bella, più attraente. Non è l’ateismo che ci deve far paura, anche perché l’ateismo non esiste più. Ci deve far paura l’indifferenza, ci deve far paura l’assenza di tanti battezzati che hanno rotto con la comunità cristiana ma che aspettano un gesto di attenzione per tornare alla casa fraterna e alla casa paterna.

Un nuovo modello di Chiesa

Un nuovo modello di Chiesa: una Chiesa che sa amare, una Chiesa più umana, una Chiesa più fraterna. Non possiamo chiedere la fraternità ai lontani se non siamo in grado di fare fraternità all’interno delle nostre comunità. La Chiesa del domani è una Chiesa umana, una Chiesa fraterna, una Chiesa che si sporca le mani, si sporca anche il nome! Una Chiesa che non ha paura di compromettersi anche davanti all’opinione pubblica. Una Chiesa che non cerca niente per sé, una Chiesa che non si guarda allo specchio, una Chiesa che non cerca né consensi né applausi. Una Chiesa che è felice soltanto di servire l’uomo. Gesù Cristo è stato il volto di Dio capovolto. Un Dio che non cerca la gloria. Vuole amare. Gesù Cristo è stato il volto di un Dio che si è svuotato. Nessuna ossessione, soltanto l’ossessione di far felice la gente. Gesù Cristo è un Dio che si è messo in ginocchio, per il grande amore con il quale ci ha amati.

La Chiesa del futuro è una Chiesa capovolta dinanzi alla logica mondana. La logica mondana non ci interessa, non ci riguarda. Non c’è spazio per la logica mondana con tutto quello che significa “una Chiesa che si svuota non pensa a se stessa”. Una Chiesa che sente la passione per l’uomo. Aveva già scritto Giovanni Paolo II nella sua prima lettera enciclica al n.10: l’uomo è la via della Chiesa, perché l’uomo è stata la via che Cristo ha percorso quando è venuto in mezzo a noi”. Questo anno, questi giorni, non per fare delle iniziative, incontri a tavolino. Sarebbe una grazia sciupata. Questi incontri, anche a tavolino, per imparare uno stile.

Attenzione, però, papa Francesco ci ha messi in guardia. È capace di questo stile soltanto una Chiesa che vive l’esperienza spirituale, ossia una Chiesa che si mette davanti al volto di Dio, una Chiesa che si lascia giudicare da Dio, una Chiesa che invoca lo Spirito, una Chiesa che vive l’esperienza del Risorto. La vive. Nel 1968, nel Concilio ecumenico delle Chiese venne questo grido: senza lo Spirito non c’è Chiesa, senza lo Spirito non c’è Vangelo, senza lo Spirito non c’è missione, senza lo Spirito non c’è futuro. Ma con lo Spirito c’è la Chiesa, c’è il Vangelo, c’è la missione, c’è il futuro, con lo Spirito!

Dobbiamo vigliare in questo cammino sinodale perché non si riduca tutto ad un’attività da fare a tavolino, perché bisogna mandare quel contributo alla CEI. Sarebbe sciupare la grazia di Dio. E sarebbe deludere tanti uomini e tante donne che invocano il Vangelo, che invocano uomini e donne capaci di far ardere ancora oggi il cuore per continuare a vivere in questa storia problematica, complessa, ma meravigliosa. Non bisogna aver paura della complessità né cedere alla tentazione di semplificare tutto, sarebbe terribile. Bisogna avere la gioia di vivere anche nella complessità, perché la complessità è dura ma è anche formativa.

Una Chiesa che attraversa il deserto con la certezza di Dio

Amici cari, siamo come il popolo ebreo. Abbiamo lasciato l’Egitto, perché l’esperienza di una Chiesa del passato può darsi che fosse l’esperienza dell’Egitto. Non avevamo la libertà dei figli di Dio. Abbiamo lasciato l’Egitto. Abbiamo cominciato ad attraversare il Mar Rosso e il deserto. Dobbiamo attraversare il deserto accompagnati dalla nube e dalla colonna di fuoco: la certezza di Dio. Miei cari, la fede non è tutto è facile, tutto è semplice. I tempi sono difficili, facciamo grande fatica, ma abbiamo la certezza di avere la colonna di fuoco e la nube che accompagnano il nostro cammino. Dobbiamo attraversare il deserto e, se Dio vorrà, vedremo la terra Promessa: il volto di una Chiesa più bella, senza ruga, senza macchia, splendente di bellezza, come dice San Paolo nell’epistola agli Efesini.

Coraggio! Con la mano nella mano, uno accanto all’altro, mai soli! Possiamo affrontare questa stagione del dopo coronavirus come profeti di speranza, come protagonisti di una nuova storia di vita cristiana.

Nel passato il cristianesimo ha fatto cose meravigliose. Il cristianesimo di ieri è stato meraviglioso per i suoi frutti. Dobbiamo creare una nuova cristianità, più snella, più leggera, forse più povera, ma più entusiasta di servire Cristo e di servire la Chiesa.

Qualche tempo fa sono usciti due volumi molto belli: “La Chiesa che brucia”. Dobbiamo spegnere questo fuoco perché la Chiesa possa brillare. E un altro testo, un interrogativo: “Siamo diventati una Chiesa senza Cristo e siamo diventati cristiani senza Cristo?” Com’è vero. Cristo c’è, ma è in penombra, dietro le quinte. Siamo caduti nella tentazione di diventare protagonisti, restituiamo il primato a Gesù Cristo, il Risorto, il datore dello Spirito. Torniamo noi dietro le quinte. Lasciamo che il Risorto cambi noi, suoi discepoli, e che possa cambiare la storia dell’umanità. Senza Cristo non c’è futuro per la Chiesa e per il mondo intero.

Auguri a voi e alla vostra diocesi, che amo ancora.

Buon cammino, accompagnati dalla presenza di Dio e dalla presenza del vostro vescovo!

+ Beniamino Depalma

Napoli, 21 febbraio 2022

*trascrizione dell’intervento di Mons. Beniamino Depalma durante l’incontro di formazione per i referenti parrocchiali della Caritas e del cammino sinodale della Arcidiocesi di Amalfi – Cava de’ Tirreni tenuto su piattaforma meet - google

Post popolari in questo blog

«La Risurrezione» di Manzoni: l’inno del credente alla vita eterna

"La Diva del mare": storia del Canto dei Maioresi

«Tempo di credere»: l'augurio del Vita Cristiana con le parole di Don Primo Mazzolari