Il messaggio di P. Beniamino Depalma dopo il periodo di malattia [TESTO INTEGRALE]

Dopo il lungo periodo di malattia che lo ha visto protagonista, P. Beniamino Depalma, già nostro arcivescovo, ha inteso ringraziare quanti gli si sono resi vicini con l'affetto e la preghiera in questo tempo di dura prova attraverso una missiva che di seguito pubblichiamo integralmente.



Familiari
Confratelli
Amiche e amici
Comunità di Amalfi e di Nola

Carissimi tutti, 

ho già avuto occasione attraverso i social di ringraziarvi per l’attenzione, l’interessamento, la presenza, che in modi diverse avete voluto manifestarmi in questo tempo (ormai oltre un mese) di fragilità e di seria preoccupazione nel quale anche a me è accaduto di ritrovarmi inerme e all’improvviso. Mi si consenta un grazie particolare a don Lino D’Onofrio per la costanza avuta nel diffondere il bollettino medico aggiornato. 

In condizione di maggiore autonomia e agibilità, grazie a Dio, desidero ora rivolgermi a voi e raggiungervi ognuno con l’espressione della mia riconoscenza. Grazie per il sostegno e la forza, che mi avete permesso di attingere dal sentirvi davvero accanto a me, cirenei lungo questa “via dolorosa”, che tutti speriamo conduca quanto prima a un riprendere la quotidianità e quanto si è stati costretti a rallentare o a interrompere. Potremo allora far tesoro insieme anche di questo momento di tenebra in fondo al quale, come credenti, non si affievolisce il coraggio di attendere ancora di contemplare nuovi e luminosi orizzonti. 

Il mio primo affettuoso pensiero va ai confratelli, che non ritroverò più accanto a me una volta ristabilito e in condizioni di tornare a casa. Mi riferisco ai venerati padri Calogero MARINO (+ 21 febbraio), Riccardo SOMMELLA (+ 27 febbraio), Filippo GRILLO (+ 28 febbraio) e Giovanni D’ERCOLE (+ 3 marzo). La tragedia presente non li ha risparmiati. Siamo certi che il Signore li ha accolti accanto a sé ricompensandoli come servi generosi e fedeli, che in questa vita terrena hanno speso se stessi senza risparmio per la Chiesa, per la famiglia vincenziana, per gli ultimi. Ne custodiremo l’esempio e gli insegnamenti e, accanto al dolore umanissimo per la loro perdita, ringrazieremo Dio per averli incontrati e conosciuti, per averli avuti come maestri, educatori, modelli da imitare e compagni di strada. Ne custodiremo grata memoria per il bene da loro compiuto nei vari campi e situazioni in cui il ministero li ha chiamati a operare. 

La preghiera ha continuato a nutrire questo mio tempo di solitudine e di affidamento nelle mani di Dio e di fiducia nella professionalità degli operatori sanitari e della struttura alla quale mi ritrovo ancora affidato. Ma quante volte ho attraversato notti in cui le domande sembravano più numerose delle stelle! Quante volte sono tornate spontanee alle labbra le parole dell’orante biblico: Dal profondo a te grido, Signore! Signore ascolta la mia voce! Tu sei il Dio della mia salvezza… In te solo confido! Getto in te ogni mio affanno. Con te, Signore, non temo alcun male. Tu mi proteggerai e mi darai consolazione…

Parole ad alleviare e disperdere il carico di umanissima angoscia condensato nella protesta anche verso Dio: Perché mi hai abbandonato? Quanto resta della notte prima di rivedere i colori del mattino? Parole capaci di trasformare il silenzio vuoto in uno spazio di incontro e di intimo dialogo con il Padre di Gesù Cristo. 

Benché di forzata inazione, non credo che questo periodo vada archiviato come “tempo perso”, convinto come sono che nulla di quanto ci accade è da considerare superfluo o inutile. A scuola della severa maestra che è la vita abbiamo sempre da imparare. E tra le indispensabili virtù per l’apprendista dell’arte del vivere ci sono la pazienza, la diligenza e la perseveranza. Certo, a innescare la nostra ricerca di senso il più delle volte è l’interesse, la curiosità, la sete di conoscenza, la sfida del nuovo e il gusto di varcare confini; talvolta sono gli stessi contesti a diventare stimolanti e a schiuderci percorsi umani e intellettuali, che ci spingono oltre e ci portano altrove; qualche volta accade di ritrovarci a gestire una “vita inceppata” in cui la cosiddetta normalità è inaspettatamente compromessa da situazioni non previste, non desiderate, non scelte, nelle quali l’unica possibilità resta comunque… proseguire sino in fondo. 

Se la fede pasquale ci radica nella certezza che Cristo è veramente risorto, la speranza ci consegna la profondità umana del meraviglioso evento nella prospettiva di una storia da sollevare e da redimere. Attraverso, poi, la quotidiana testimonianza della carità, il discepolo, a imitazione del Maestro, è chiamato a rendere la propria vita dono e servizio assumendo la responsabilità di attuare il mistero della presenza e della compagnia di Dio nel cuore del mondo. 

Dalla finestra chiusa della stanza d’ospedale e intorno a me non hanno mai smesso di raggiungermi i muti silenzi, le inquietudini, le apprensioni e le rassegnate angosce, che rimbombano nelle tante situazioni sospese governate dall’emergenza e dall’urgenza in cui ci ritroviamo. La verità e che non esistono angoli riparati né oasi protette. Non ci sono bunker nei quali attendere che la tempesta si allontani e torni il sereno. Per nessuno. Toccare con mano e sperimentare in prima persona la precarietà e il limite della nostra condizione terrena mi ha fornito l’opportunità di sentirmi solidale con quanti fratelli e sorelle si sono ritrovati senza preavviso a dover combattere contro il Covid-19 per resistere e sopravvivere alle sue nefaste conseguenze. Ho sempre sostenuto che nel cuore della Chiesa hanno diritto di accoglienza e di considerazione tutte le espressioni e le stagioni della vita umana: speranze e delusioni, gioie e dolori, momenti di serenità e inquietudini. La Sposa mistica non è da contemplare soltanto ammantata di gloria, ma anche come Madre premurosa e tenera mentre accorre tenera e sollecita con il grembiule della serva verso chiunque dei suoi figli mostra le ferite della vita lungo il cammino. Anche il più remoto e smarrito. 

Tornano alla mente risposte e opinioni espresse nelle varie occasioni in cui è stato richiesto anche a me di esprimermi a proposito dell’attuale pandemia. Ho parlato di coraggio nella prova, di resistenza alla seducente tentazione di prendersela con Dio, della paziente e fiduciosa attesa di momenti migliori, di discernimento e di “lettura sapienziale” sollecitata da eventi, che sembrano confermare che il cielo è vuoto, di occasione per purificare le nostre convinzioni religiose spesso permeate dalla pretesa di venire soccorsi quando ci si trova con l’acqua alla gola, scambiando il Padre provvidente della Bibbia con il deus ex machina dei filosofi antichi… 

Ebbene, quest’ora di smarrimento e di ricerca credo mi sia donata come opportunità di sondare la consistenza delle mie certezze. Dal profondo di me stesso emerge la dichiarazione di disponibilità della Donna umile e fragile di Nazareth: Eccomi! Avvenga di me secondo la tua volontà… Mi ci aggrappo come un naufrago al brandello di legno sperando che lo tenga a galla tra i flutti minacciosi e lo conduca in un luogo sicuro. È questa la mia fede e vi chiedo di sostenerla con la vostra preghiera. 

Disponendomi a lasciare l’ospedale dopo il necessario periodo di riabilitazione, mi approprio del programma di vita, che il confratello vescovo Giustino De Jacobis, da qualche mese appena in Abissinia, il 26 gennaio 1846 dichiarava di voler seguire per il suo apostolato: Se il Signore vorrà aggiungere ancora qualche giorno alla mia vita, mi impegnerò a viverlo per voi! 

Assaporando il felice momento quando sarà compiuto il passaggio in ombra delle ultime settimane è questo il proposito con cui desidero presto riprendere il cammino interrotto. Come una sospirata primavera, che tarda ad arrivare, aspetteremo ansiosi il giorno degli abbracci, ma su di noi e nel nostro tempo incombe imperioso l’impegno di dar gloria a Dio e di lavorare per la salvezza delle anime. C’è ancora da prendere il largo sulla parola del Maestro, da affondare le reti nel mare in tempesta della vita, da raccogliere ai margini delle strade quanti vi giacciono esausti e rapinati della speranza, del futuro, dei sogni da predoni, che si chiamano paura, angoscia, disillusione, frustrazione. 

“Andrà tutto bene!” è stato per mesi il sorridente mantra pronunciato in tutte le lingue, scritto ovunque a caratteri cubitali e olorati sui muri delle case, delle aule scolastiche e finanche delle sacrestie e degli oratori, esposto ai balconi, utilizzato come saluto e augurio. A mio avviso ne abbiamo forse trascurato il sapore di ingenuità, la leggerezza da ottimismo a buon mercato, l’occulto significato scaramantico… Sicuramente sintetizza ed esprime un collettivo bisogno profondo di serenità affidato a Dio o alla scienza o alla sorte, ma non possiamo negare l’evidenza: la battaglia è tuttora in corso e il numero dei caduti resta troppo alto, un prezzo crudele e disumano continua ad essere pagato in termini di salute e di vite. Suggerirei che si punti su un obiettivo più concreto e condivisibile in ragione delle capacità e delle risorse di cui ciascuno di noi è dotato: tutto deve andare meglio! A cominciare dalle nostre famiglie e comunità, dalle nostre relazioni interpersonali e sociali, dalle storie quotidiane in cui ciascuno è protagonista. 

Vi lascio immaginare la tristezza nell’apprendere di persone care andate via in solitudine, senza neanche la possibilità di un ultimo saluto o di un conforto psicologico o spirituale nel momento in cui i loro volti amati si sono trasformati all’improvviso in dolente memoria. Condividendo lo strazio dell’impotenza, ogni mattino mi unisco alla preghiera di intercessione, che sale dalle nostre comunità al cielo perché il cammino di questi tanti fratelli e sorelle sia lieve e, raccomandati dalla santa Vergine, incontrino la misericordia del Padre buono alla soglia dell’Eternità. 

Per quanto riguarda noi, ci porteremo addosso cicatrici e lacerazioni di questo momento difficile per aver combattuto, sperato e resistito, ma ricordiamoci anche della lezione importante, che ci è stata impartita: questa vita straordinaria appesa a un filo resta un dono prezioso da accogliere, custodire, proteggere e valorizzare sia da un punto di vista individuale che collettivo, facendoci prossimo ognuno per l’altro a esempio di Chi si pone giorno per giorno accanto a noi continuando a ripeterci di non temere e di confidare in Lui e nel suo potere di placare ogni burrasca e di stendere arcobaleni dopo la più terribile delle tempeste. 

Carissimi, so di potermi affidare con semplicità alla vostra preghiera e vi chiedo di donarmi la vostra benedizione di padri e madri, di fratelli e sorelle, di amici e amiche, mentre con affetto sincero assicuro a ciascuno il mio ricordo. Soprattutto quando potrò tornare a rivivere il momento eucaristico nel quale in maniera assolutamente concreta e vivificante sperimentiamo l’incredibile “scambio tra la nostra povertà e la sua grandezza”, la nostra precarietà con la sua forza e l’irruzione del tutto che è Lui nel frammento della nostra esistenza. 

Ai venerati fratelli nell’episcopato e nel presbiterato, al mio Visitatore e nella sua persona a tutti i confratelli, alle donne e uomini della vita consacrata, ai familiari e a tutti quanti hanno voluto rivolgermi cenni e parole di incoraggiamento: grazie per la vostra vicinanza, nonostante le difficoltà imposte dalle prescrizioni cautelative da osservare. 

Infine, un pensiero grato e cordiale a tutto il personale medico e paramedico del Cotugno di Napoli per la loro professionalità e amabilità: certamente per l’efficacia della preghiera, ma è anche grazie a loro che ancora una volta posso attendere di… tornare a riveder le stelle. 

Napoli, 20 marzo 2021 

Beniamino Depalma c.m.




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