«La Risurrezione» di Manzoni: l’inno del credente alla vita eterna
La Risurrezione di Manzoni: l’inno del credente alla vita eterna
La sua preda fu ritolta?
Come ha vinto l’atre porte,
Come è salvo un’altra volta
Quei che giacque in forza altrui?
Io lo giuro per Colui
Che da’ morti il suscitò,
Più non posa nel sudario;
È risorto: dall’un canto
Dell’avello solitario
Sta il coperchio rovesciato:
Come un forte inebbriato
Il Signor si risvegliò.
Riposato alla foresta,
Si risente il pellegrino,
E si scote dalla testa
Una foglia inaridita,
Che, dal ramo dipartita,
Lenta lenta vi ristè:
Che premea l’arca scavata
Gittò via quel Vigoroso,
Quando l’anima tornata
Dalla squallida vallea,
Al Divino che tacea;
Sorgi, disse, io son con Te.
Tra i sopiti d’Israele!
Il Signor le porte ha schiuse!
Il Signor, l’Emmanuele!
O sopiti in aspettando,
È finito il vostro bando:
Egli è desso, il Redentor.
Che mortal sarebbe asceso?
A rapirvi al muto inferno,
Vecchi padri, Egli è disceso:
Il sospir del tempo antico,
Il terror dell’inimico,
Il promesso Vincitor.
Che narrarono il futuro,
Come il padre ai figli intenti
Narra i casi che già furo,
Si mostrò quel sommo Sole,
Che, parlando in lor parole,
Alla terra Iddio giurò;
Mallevaro al mondo intero
Che il Bramato un dì verria;
Quando assorto in suo pensiero,
Lesse i giorni numerati,
E degli anni ancor non nati
Daniel si ricordò.
Maddalena e l’altre donne
Fean lamento sull’Ucciso;
Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.
Si posò sul monumento:
Era folgore l’aspetto,
Era neve il vestimento:
Alla mesta che ’l richiese
Diè risposta quel cortese:
È risorto; non è qui.
Lo squallor della viola:
L’oro usato a splender torni:
Sacerdote, in bianca stola,
Esci ai grandi ministeri,
Tra la luce de’ doppieri,
Il Risorto ad annunziar.
Godi, o Donna alma del cielo;
Godi; il Dio, cui fosti nido
A vestirsi il nostro velo,
È risorto, come il disse:
Per noi prega: Egli prescrisse,
Che sia legge il tuo pregar.
Sol di gaudio oggi ragiona;
Oggi è giorno di convito;
Oggi esulta ogni persona:
Non è madre che sia schiva
Della spoglia più festiva
I suoi bamboli vestir.
Ogni mensa abbia i suoi doni;
E il tesor, negato al fasto
Di superbe imbandigioni,
Scorra amico all’umil tetto,
Faccia il desco poveretto
Più ridente oggi apparir.
De’ tripudi inverecondi:
L’allegrezza non è questa
Di che i giusti son giocondi;
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno
Della gioia che verrà.
Spunta il sol de’ giorni santi;
Ma che fia di chi rubello
Torse, ahi stolto! i passi erranti
Nel sentier che a morte guida?
Nel Signor chi si confida
Col Signor risorgerà.
La Risurrezione
di Manzoni si colloca fra gli Inni sacri, componimenti poetici
che offrono la lettura di una fede vera e autentica al pari del cristianesimo
delle origini, una fede dunque vissuta secondo la parola evangelica, sciolta da
ogni forma di esteriorità. Negli Inni sacri, che intendono narrare le
origini e le caratteristiche delle feste più note e celebrate dal popolo
cristiano, Manzoni scrive prendendo in considerazione il modo con cui
la sua interiorità si avvicina all’evento liturgico scelto: tuttavia, la
dimensione soggettiva dell’inno si trasfigura facilmente nella realtà corale e
comunitaria dei credenti in Cristo. I lettori possono dunque identificarsi senza
alcuna difficoltà con l’io lirico, con la sensibilità del poeta che interpreta
con un linguaggio nuovo, chiaro e semplice l’evoluzione dell’evento narrato. La
scelta da parte di Manzoni di ricorrere ad un linguaggio semplice deriva dalla
volontà del poeta di rivolgersi all’animo di ogni credente, di rivolgersi a
fedeli di ogni estrazione sociale affinché gli elementi costitutivi della
predicazione di Cristo, quali la carità, la fratellanza, l’uguaglianza
universale, raggiungessero tutti senza alcuna distinzione.
I modelli presi in
considerazione da Manzoni nella stesura degl’Inni sacri sono senz’altro i Laudesi
e gli Inni ciclici di Prudenzio, l’innografia
ecclesiastica medioevale e la precedente tradizione lirica religiosa.
I suoi testi presentano comunque degli elementi innovativi: gli eventi più
importanti della storia del cristianesimo vengono inquadrati con chiari riferimenti
all’Antico e al Nuovo Testamento, presentati come un graduale
raggiungimento della dimensione luminosa e salvifica di Cristo, atteso
dall’antichità. Egli, subendo la passione, ha raggiunto le più alte sfere di un
sacrificio che ha reso possibile la redenzione di un mondo sopito che attendeva
un messaggio che fosse in grado di destarlo, di sconvolgere e di rivoluzionare la
realtà del mondo antico. Il testo poetico si compone di sedici strofe di
ottonari in alternativa all’endecasillabo, rendendo così la parola poetica
più sciolta e più vicina al sentimento religioso popolare.
La scelta del verso
ottonario, come è possibile notare leggendo l’Inno, rende ulteriormente l’idea
di eccezionalità legata alla Resurrezione: Cristo si risveglia e si desta,
vincendo la morte e spalancando le porte a chi crede in Lui verso la vita
eterna. Nell'espressione: "Come un forte inebriato il Signor si
risvegliò" è evidente un riferimento al Salmo 77 che, come
evidenzia il Binni, "dà al sonno mortale di Cristo un senso di
tranquillo riposo".
Importante il paragone
fra la pietra tombale divelta dal sepolcro e la foglia caduta che
sembra rinascere e rinvigorirsi: l’immagine delle foglie viene adoperata nella
poesia antica (ad esempio nei poemi omerici, nei frammenti dei lirici
greci Semonide, Bacchilide e Mimnermo) e sarà rievocato da autori del
Novecento come Ungaretti (noto il componimento Soldati: “Si
sta come d’autunno sugli alberi le foglie”) per evidenziare la precarietà
della vita umana e l’ineludibile destino di oblio e di morte che spetta a tutti
gli esseri viventi, ma Manzoni sembra adottare nuovamente questa immagine
capovolgendone il fine e mostrando come l’impossibile possa avverarsi tramite Cristo,
autore e protagonista di infinite metamorfosi e conversioni interiori.
Manzoni prende in
considerazione poi i profeti, quindi personaggi dell’Antico Testamento
che attendevano e invitavano il popolo d’Israele ad attendere il Messia. Poi,
procede con la narrazione dell’apparizione dell’angelo alle donne che si
sono recate al sepolcro. L'angelo, attraverso l'impiego del diminutivo e
del termine arcaico estranio, è presentato nel suo sovrumano candore. "Estranio"
può significare sia "straniero" sia "strano",
"mirabile", cioè "diverso" e non appartenente
alla sfera dell'umano. Non viene qui sottolineata la forza con la quale egli ha
fatto rotolare la pietra sepolcrale, ma la leggiadria con la quale si posa sul
sepolcro in un gesto quasi etereo, inconsistente ed impercepibile ai sensi
umani. Inoltre, le descrizioni delle impressioni luminose che l'aspetto
dell'angelo suscita completano il quadro di una visione estatica e miracolosa.
Nell’ iconografia della
Resurrezione compare spesso, anziché l’immagine di Cristo Risorto, l’angelo che
annuncia alle donne il lieto evento e che indica loro il sudario nel sepolcro
vuoto. Si tratta di un retaggio della Chiesa Ortodossa che
permane nell’arte di diverse epoche, come è possibile notare dalle
illustrazioni qui proposte. La tradizione bizantina medita ancora, nella
Terza domenica dopo Pasqua, sul mattino della Resurrezione, e lo fa da
un punto di vista del tutto particolare: come ricorda il sinassario si ricorda
in quella domenica non soltanto la memoria di Giuseppe di Arimatea e di
Nicodemo ma anche quella delle donne mirofore. Il termine "mirofora" significa "portatrice
di mirra", e con esso ci si riferisce alle donne delle quali i
Vangeli testimoniano la presenza sul Golgota e alle quali viene rivolto il
primo annuncio della risurrezione.
Successivamente, lo
sguardo del poeta si rivolge alla liturgia che rende presente e perenne
il mistero della Redenzione, ma si posa anche sulla quotidianità della
vita, sui gesti d'ogni giorno che, rivestiti della gioia della Risurrezione del
Signore, rivestono anch'essi carattere di sacralità e lode a Dio: secondo il
critico Luigi Russo, la fede espressa nella poesia del Manzoni è
"quella del dogma spogliato del suo contenuto dottrinale e vissuta nel
mistero di tutti i giorni e di tutte le ore". È evidente il
riferimento di Manzoni ad una lettera di San Paolo ai Corinzi: "E
tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore
Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre."
L’inno si conclude con la certezza della vita insita nel cuore del credente che ha fede in Cristo che, come si legge nel Vangelo di Giovanni, è la Via, la Verità e la Vita.