Le tre ore di Agonia: una pagina di storia liturgica

Un'antica pratica che si svolgeva usualmente nelle Chiese di Maiori il Venerdì Santo era "Le tre ore di Agonia". In questo interessante articolo, redatto per il Vita Cristiana di Maiori N. 3 - 4; marzo - aprile 2018; Anno LXX, Donato Sarno, storico maiorese, traccia un quadro storico-liturgico di questa antica tradizione. Lo riproponiamo per le rubriche Le pagine del Vita Cristiana e Le nostre tradizioni. Buona lettura!

Agostino Carracci, Crocifissione, Incisione tratta dalla Crocifissione
del Veronese nella Chiesa di San Sebastiano a Venezia

Il Venerdì Santo e la pia pratica delle Tre ore di Agonia

di Donato Sarno

Se, riducendo saggiamente il tempo che impieghiamo (e, purtroppo, non di rado sprechiamo) davanti alla televisione ed al computer, riprendiamo la sana abitudine di conversare con le persone anziane e, in particolare, chiediamo loro come, quando erano giovani, si preparavano alla Pasqua, sicuramente esse ci parleranno di una funzione, allora molto sentita e seguita dai fedeli, la quale si svolgeva nelle chiese il Venerdì Santo ed era detta “le tre ore di agonia”.

La funzione aveva inizio alle ore 12.00 e durava sino alle ore 15.00. Durante tale periodo, coincidente volutamente con l’arco di tempo in cui Gesù stette inchiodato sulla croce, sacerdoti particolarmente abili nell’eloquenza sacra montavano sul pulpito e ricordavano la Sua atroce e sofferta agonia, commentando le ultime sette parole da Lui pronunciate quando si trovava in croce. Le sette parole (sette come i Sacramenti, sette come i doni dello Spirito Santo e sette come le virtù), considerate quale testamento spirituale del Redentore, sono le seguenti, tutte tratte dai Vangeli e cariche di altissimo significato:

  1. (Lc. 23,24) Pater, dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt (Padre, perdona loro: non sanno infatti quello che fanno);
  2. (Jo. 23,43) Amen dico tibi, hodie mecum eris in Paradiso (In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso);
  3. (Jo. 19,26 – 27) Mulier, ecce filius tuus … Ecce mater tua (Donna, ecco tuo figlio … Ecco tua madre);
  4. (Mt. 27,46; Mc. 15,34) Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?);
  5. (Jo. 19.28) Sitio (Ho sete);
  6. (Jo. 19,30) Consummatum est (Tutto è compiuto);
  7. (Lc. 23,26) Pater, in manus tuas commendo spiritum meum (Padre, nelle tue mani affido il mio spirito).

La pia pratica, sorta in America Latina nel XVII secolo ad opera dei Gesuiti e, in modo speciale, del Padre Alonso Mesia Bedoya (Alfonso Messia nella forma italiana), ottenne grande fortuna e favore e si diffuse presto dovunque, approvata dai Pontefici ed arricchita di indulgenza plenaria da Pio VI. In effetti le tre ore di agonia ben si inserivano, valorizzandola, nell’atmosfera penitenziale della Settimana Santa, quando nelle chiese le croci degli altari e le immagine erano coperte in segno di lutto con veli violacei, e nel clima di mestizia proprio del giorno della Passione del Signore; essa aveva luogo dopo la liturgia del Venerdì Santo (la cosiddetta Messa dei presantificati) - che allora si celebrava di mattina e culminava con la scopertura delle croci - e precedeva le suggestive processioni di Gesù morto della sera.

Le prediche che si tenevano durante le tre ore di agonia – di regola innanzi ad un grande Crocifisso issato sull’altare maggiore, nell’ambito di una efficace scenografia riproducente il Calvario - avevano accenti intensi, con forti gestualità e con toni di voce che ora si innalzavano e ora si abbassavano, così da toccare la mente ed il cuore dei presenti, spingendoli a pentirsi, a piangere i loro peccati e a considerare l’infinità bontà del Cristo, il quale con la Sua morte aveva riaperto le porte del Paradiso. Le prediche erano intervallate sovente da componimenti musicali, per ancor più drammatizzare e far rivivere le sofferenze e gli strazi di Gesù.

Tanti sacerdoti a Maiori hanno, nel corso dei secoli, elevato dai pulpiti la loro accorata voce durante la funzione delle tre ore d’agonia e ancora si conserva nei più anziani il ricordo delle prediche infuocate tenute per l’occasione in Collegiata da don Francesco d’Uva (1873 – 1945), canonico e parroco di San Pietro nonché valente oratore.

Con il decreto della Sacra Congregazione dei Riti “Maxima redemptionis nostrae mysteria” del 16 novembre 1955 si introdussero, a partire dal 1956, alcune modifiche nei riti della Settimana Santa, tra le quali quella di spostare la Messa dei presantificati del Venerdì Santo e quindi la scopertura delle croci dalla mattina alle ore pomeridiane. Ciò rese incongruente la predicazione, da mezzogiorno alle quindici, davanti alla scena della crocifissione, propria della funzione delle tre ore d’agonia: questa infatti era stata concepita sul presupposto che le croci fossero già state scoperte la mattina, ossia prima di mezzogiorno, cosa che invece dal 1956 in poi, a seguito della predetta modifica, non poteva più avvenire, perché rinviata al pomeriggio inoltrato. Pertanto la pratica delle tre ore d’agonia, pur non essendo mai stata eliminata o vietata, finì col cadere gradualmente in disuso, sopravvivendo ora solo in poche parrocchie.

La pratica ha comunque avuto storicamente un merito enorme: quello di aver formato le generazioni che ci hanno preceduto, chiamandole a contemplare – come diceva il Padre Messia – “con somma attenzione e riverenza i tormenti, le ambasce e le angustie mortali che nello spazio di queste tre ore d’agonia patì sulla croce il nostro Redentore (…) tanto crudeli e orrende (…) per offrire a pro nostro, con amore sviscerato, il Suo sangue e la Sua vita in sacrifizio all’Eterno Suo Padre”.

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