Mons. Nicola Milo: a sedici anni dalla scomparsa
Nell'anniversario della morte di Mons. Nicola Milo, ultimo prevosto dell'Insigne Collegiata di S. Maria a Mare, avvenuta il 17 Agosto 2005, riproponiamo diversi contributi tratti dal numero speciale di Settembre 2005 del Vita Cristiana di Maiori, periodico della Comunità Ecclesiale da lui fondato nel 1958. Buona lettura!
Mons. Nicola Milo: i primi passi
Di lì a poco più di un anno, il due agosto del 1954, con suo breve di nomina, spedito da Castel Gandolfo, Pio XII chiamava alla guida della chiesa di Maiori monsignor Nicola Milo. Prima che il nuovo prevosto prendesse il possesso canonico della prepositura trascorsero quattro mesi, durante i quali, nell’ottobre, l’alluvione segnò in maniera tragica e definitiva la storia del paese. Il giovane monsignore giunse a Maiori in un grigio pomeriggio di dicembre. Aveva composto, per l’occasione, una piccola, semplice preghiera, che era stata stampata sul retro dell’immagine di S. Maria a Mare, distribuita in ricordo dell’evento: «Gesù Divino Buon Pastore, Maria Fulgente Stella del Mare, fate che le anime affidatemi conduca ai pascoli salutari della Grazia, al porto della eterna felicità». Il venti gennaio del 1955, ad un mese di distanza dal suo ingresso, monsignor Milo diffondeva il seguente indirizzo di saluto ai cittadini di Maiori: «Le imperscrutabili vie della Divina Provvidenza mi hanno chiamato alla Prepositura dell’Insigne Collegiata di S. Maria a Mare di Maiori. Non avevo mai sognato tale onore, ma la volontà dei Superiori più volte espressa, nonostante la mia riluttanza, ha guidato i miei passi ed è prevalsa.
Il 19 dicembre 1954, con la semplice ed austera funzione di Chiesa, ho preso possesso canonico dell’antica ed insigne Collegiata, alla presenza dell’Arcivescovo di Amalfi, di parecchi Canonici e sacerdoti, dei padri Francescani, delle suore, dell’Autorità cittadine e di numeroso popolo accorso per l’occasione. Nel discorso di presentazione non ho fatto, né potevo fare chimeriche promesse; ho affermato soltanto che mi sarei sforzato di essere Sacerdote di Cristo nella porzione del gregge affidatomi, per l’onore di Dio e per la gloria di Maria SS. Assunta in Cielo. Bisogna purtroppo convenire che le difficoltà sono immense e le forze personali non sono pari: ho messo perciò tutta la mia fiducia nella Vergine Assunta, che dal suo trono guarda e benedice; mi sono affidato alle preghiere di tante anime innocenti e mi raccomando anche alle vostre preghiere.
Se a voi sta a cuore la Chiesa di Maiori, pregate per colui che oggi ne regge spiritualmente le sorti e vogliategli bene. Vi invito poi espressamente a pregare per la vostra città così duramente colpita dal nubifragio dell’ottobre scorso. Le sue necessità sono tali e tanto urgenti, che soltanto la mano di Dio potrà ridare a Maiori il ridente aspetto di una volta.
Con l’augurio che la nostra città, sotto lo sguardo vigile di Maria, risorga dal suo stato pietoso e nella speranza che voi ritorniate presto ai piedi della vostra Madonna “STELLA DEL MARE”, invoco sulle vostre famiglie i doni del Signore e con tutta la effusione del mio cuore sacerdotale vi benedico».
Mons. Nicola Milo: una scelta coerentemente vissuta
Fu sempre stimato dagli Arcivescovi Amalfitani, che si sono succeduti nel corso dei 60 anni (dal 1945 al 2005) del suo sacerdozio. In un raro attimo di confidenza la sua mente andò a quando Mons. Ercolano Marini, Arcivescovo di Amalfi, chiese proprio a lui, ordinato sacerdote da poche settimane, di accogliere, sul sagrato della Cattedrale di Amalfi, il simulacro argenteo dell’apostolo Andrea. Era accaduto che, durante la processione estiva del 1945, i pescatori amalfitani, in spregio ai decreti dell’anziano arcivescovo, conducessero, secondo la loro consuetudine, la statua sulla riva del mare. Il Presule e l’intero corpo ecclesiastico, bardati dei sacri paramenti, al colmo dell’indignazione si ritirarono all’interno del Duomo, serrando le valve bronzee della cattedrale. Si immagini, dunque, il lamento generale della popolazione, che, nel frattempo, aveva seguito il Santo. Monsignore raccontava il suo timore per la reazione popolare; ma la sua fede, congiunta all’obbedienza, lo sostenne nell’urto con i portatori, i quali, lanciati nella corsa, che conclude la processione sulla scalinata del Duomo, disarmati dalla mansuetudine e dalla sua giovanissima età, rinunciarono alle mormorazioni e alle vie di fatto, e così tutto proseguì senza alcun danno.
Mons. Angelo Rossini lo stimò molto, al punto da segnalarlo per la cura pastorale della Parrocchia di S. Maria a Mare di Maiori, una delle comunità parrocchiali più turbolente nel territorio diocesano se nel breve volgere d’anni ben due prevosti (mons. Carlo Pasquali nel 1945 e mons. Raffaele Mansi nel 1953) avevano rassegnato le dimissioni. Anzi, la comunità, già spiritualmente provata, si vide colpita anche socialmente dall’alluvione del 25 ottobre 1954.
Senza una casa parrocchiale Monsignore (con questo titolo è stato sempre indicato dal primo giorno del suo arrivo dalla popolazione maiorese) venne ospitato nel Convento San Francesco, fino a quando fu costruito l’edificio POA in Via Capitolo. Per questo gesto di ospitalità, Monsignore è sempre stato legato ai Figli di S. Francesco e costoro lo hanno sempre stimato e aiutato durante il suo servizio parrocchiale. La sua saggezza e la sua bontà, unite alla discrezione, facevano sì che parecchi ecclesiastici lo interpellassero per farsi consigliare e Lui, come per i fedeli maioresi, aveva sempre parole di saggezza e di consolazione.
Nel 1992, recatosi in pellegrinaggio sulla tomba di San Nicola nella Basilica di Bari, nel corso della concelebrazione da Lui presieduta, durante l’omelia ebbe a dire: “I Prevosti di Maiori che hanno portato il nome del Santo sulla cui tomba stiamo celebrando sono stati due: uno di santa e venerabile memoria (mons. Nicola Giordano) e l’altro, io spero, sarà della stessa santa e venerabile memoria”.
Nel ricordo di quella celebrazione, a cui parteciparono parecchi fedeli (110 persone) delle sei Parrocchie di Maiori, unite insieme per la prima volta, oggi noi rispondiamo a Monsignore che la sua speranza si è avverata.
Stava sempre in chiesa, seduto sul banco nei pressi della sagrestia, con in mano il rosario, a pregare per la Comunità a lui affidata, pronto a rispondere al telefono, a confessare o, ancor più, ad invitare alla recita di una preghiera chi si avvicinava per salutarlo. Oggi, con la sua morte, quel banco rimane vuoto. Ci sorge dentro una domanda, la stessa che lui, molte volte, ripeteva durante l’omelia, in occasione della scomparsa di qualche assiduo fedele: “Adesso chi prenderà il suo posto?”.